La bufera Resto del Carlino-tiro con l’arco e quell’insostenibile leggerezza dell’apparire…
7 agosto 2016
Tra cadute e risalite, le storie più belle provenienti da Rio de Janeiro…
11 agosto 2016
Show all

#iononstavoconalex, ma adesso sto con lui!

In un pomeriggio brasiliano freddo e scuro il fantasma di Copacabana svanisce tra le nubi cariche di pioggia e cattivi pensieri. La sua figura ossuta e pallida marcia verso un destino già scritto. Sembra un turista sparuto che fugge dal maltempo. In realtà il suo nome è Alex Schwazer, campione olimpico della nazionale italiana. Alex ha 31 anni, ma è già morto due volte, e i suoi sepolcri ardono sotto il fuoco sacro di Olimpia. La prima volta si è ucciso da solo: mancavano pochi giorni all’inizio dei Giochi olimpici di Londra 2012, quando decise di farla finita nel modo più abietto per uno sportivo professionista, iniettandosi in vena una dose letale di Eritropoietina. Incapace di sopportare le enormi pressioni degli sponsor, dei tifosi e le infinite aspettative nei suoi confronti, il campione in carica della cinquanta chilometri di marcia chiese alla medicina un aiuto di cui non aveva bisogno: lo fece come un bambino che si intasca furtivo una manciata di caramelle, e quando venne beccato per lui fu quasi una liberazione. La seconda volta che Alex Schwazer è morto, è stato assassinato. Sacrificato. Anche qui mancavano pochi giorni alla sua gara olimpica, a Rio De Janeiro. I mittenti sono i padroni dello sport internazionale, campioni di ipocrisia che tante volte si sono lavati le mani come Ponzio Pilato. Non questa volta: hanno inflitto otto anni di squalifica a Schwazer, nonostante una grande quantità di incongruenze riscontrate nel caso esploso qualche mese prima, mentre pochi giorni addietro si giravano dall’altra parte di fronte allo scoperchiamento di un sistema di doping di Stato in casa Russia, lasciando alle singole Federazioni la facoltà di agire (o non agire).
LONDRA 2012 – La scoperta e la confessione della positività di Schwazer a Londra fu per me, da amante dello sport, una mazzata, il tradimento di una persona amata consumato nel lettone di casa. Il fantastico atleta che volava letteralmente quattro anni prima a Pechino stravincendo la medaglia d’oro adesso farfugliava in lacrime, si confessava e cercava giustificazioni in una conferenza stampa dolorosa, se non pietosa. Quando ho saputo della suo volontà di tornare a gareggiare, a squalifica scontata, ho provato indifferenza, se non diffidenza. E’ difficile fidarsi di chi ha fregato una volta. Ma con il tempo ho iniziato a riflettere sulla questione sotto una luce diversa, soprattutto per la presenza di Sandro Donati, storico paladino della lotta al doping. Se egli si trovava accanto al reietto Alex, poteva trattarsi di una reale redenzione? E’ difficile giudicare la sincerità del pentimento di una persona, visto che ognuno, anche il più efferato assassino, ha la tendenza di dichiararsi innocente. Al di là del principio basilare che ognuno merita una seconda occasione, ho cercato di leggere negli occhi di Alex Schwazer, è ho visto una persona diversa: non più il ragazzo impaurito, distrutto dalle pressioni e alla ricerca di un improbabile perdono, ma un uomo sicuro di sè, che raccontava con chiarezza il suo percorso di rinascita, con gesti fermi e con lo sguardo fiero.
RIO 2016 – Il marciatore di Vipiteno è stato sottoposto da inizio anno a oggi a più di trenta controlli antidoping, tutti con esito negativo. Fino a spuntare, in Maggio, una provetta del 1 Gennaio, inizialmente “pulita” ma adesso con tracce di testosterone. Schwazer e il suo staff, a differenza di quattro anni prima, questa volta non si nascondono, ma attaccano. Parlano di volontà di colpire il campione, ma soprattutto Sandro Donati, che aveva portato alla ribalta verità scomodissime, e che adesso si è messo dalla parte di un ex dopato. Emergono incongruenze e vizi procedurali pacchiani: perchè la comunicazione di positività relativa alla provetta di Capodanno, risultata negativa, è giunta dopo quattro mesi? Perchè non esiste alcuna tracciabilità della provetta? Infine, i responsabili del controllo a sorpresa del 1 Gennaio sospesi dalla IAAF in Giugno per corruzione. E pressioni (con relativa intercettazione) di un giudice di gara di una prova di Coppa del Mondo a Donati affinchè Schwazer non arrivasse primo. Un calderone di dubbi e comportamenti discutibili che fanno riflettere anche il più accanito detrattore dell’ex campione di Pechino.
Il racconto degli ultimi giorni è cronaca: Schwazer ha continuato a allenarsi sperando in una riammissione last-minute, è sbarcato a Rio de Janeiro a Olimpiade in corso in attesa del verdetto definitivo ed è stato squalificato per otto anni, in quanto recidivo. Un finale della storia tanto beffardo quanto prevedibile.
E’ STATA LA PAROLA FINE? – Alex Schwazer è tornato in Italia. La sua Olimpiade è terminata prima di cominciare. Adesso potrà appellarsi soltanto a un tribunale federale svizzero, ma la sentenza emessa, unita a una tempistica a dir poco discutibile, è sembrata finalizzata a uccidere lo sportivo e umiliare l’uomo. Una vicenda drammaticamente analoga a quella che vide protagonista Marco Pantani. Il senso di oppressione di un’aula di giustizia cieca ha riempito il cuore e i polmoni degli amanti di sport. Meglio lasciare posto all’aria fresca di un sentiero di montagna. Il fantasma di Copacabana sbuca da lì. I suoi passi veloci rompono, con rispetto, il silenzio delle valli incontaminate. Ci sono delle nubi sulla cima del Monte Cavallo, ma la bufera è già passata e il sole irradia la strada da percorrere. Sul suo volto spunta il cenno di un sorriso. Free at last – cantava Bono Vox – they took your life, but they could not take your pride.

Alessio Laganà

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *