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Che il sogno chiamato Rio abbia inizio! La cerimonia di apertura tra emozione e momenti di ilarità…

Qual’era il vostro sogno da bambini? Diventare astronauta, o medico chirurgo, o un famoso sportivo? Vincere Wimbledon magari? Il mio, niente di così scontato. Il mio sogno è sempre stato lavorare alle Olimpiadi come reporter. Per me i Giochi Olimpici sono la massima rappresentazione dello sport, una sublimazione dei sensi degli amanti di qualsiasi disciplina sportiva, dalle più rinomate a quelle con una vetrina solamente ogni quattro anni: immaginerete facilmente quindi come durante i diciassette giorni di ogni Olimpiade non ci sia mare, o montagna, o gita al lago che tenga, e come il mio viaggio a Londra di quattro anni or sono, tra una finale dei 100 metri e un oro delle ragazze del fioretto, sia stata la vacanza più bella della mia vita.
Così, durante la prima di tante notti insonni davanti alla cerimonia di apertura dei trentunesimi Giochi Olimpici, mi è venuta l’idea di questa rubrica… D’altronde la Gazzetta dello Sport o la Rai, a lavorare, ancora non mi hanno chiamato, e i sogni che uno ha spesso non vanno aspettati, ma realizzati! Ho pensato, ho un canale, ho voglia di scrivere, ho un pubblico, volente e nolente, quindi che cosa mi manca? Nulla. Cosa c’entra Grantennis Toscana con le Olimpiadi? Assolutamente niente. Ma chi è l’editore, nonchè direttore, nonchè redattore di GTT? Io. Tra coerenza e un pizzico di sincera megalomania ha vinto nettamente la seconda ed è nato senza preavviso “Dia…Rio olimpico de Janeiro”: alla fine, se il buon Angelino Binaghi va verso il ventesimo anno di mandato senza che nessuno abbia detto niente, magari anche il mio pubblico non protesterà più di tanto, con la differenza che, rispetto ai diktat federali, ognuno di voi avrà sempre la possibilità di cambiare pagina o passare democraticamente altrove!
LA CERIMONIA DI APERTURA – L’esordio del nuovo Dia…Rio non poteva che essere dedicato alla cerimonia d’apertura della tarda notte di ieri. Partiamo dalle considerazioni finali: a mio parere è stata molto bella. Bella perchè riuscita, coerente e vera. Il rischio di queste mega-rappresentazioni davanti a un pubblico planetario è di volersi mostrare più grandi e più belli di quello che si è veramente. Il Brasile invece ha messo in scena uno spettacolo onesto, privo di effetti speciali e di auto-celebrazione, senza nascondere sotto il tappeto i problemi dilanianti che stanno affliggendo il paese sudamericano: una crisi economica e sociale senza precedenti, con il suo presidente Dilma Roussef sospesa dalle sue funzioni per lo scandalo corruzione e il presidente ad interim Michel Temer subissato dai fischi durante le pochissime parole pronunciate. E’ stata una cerimonia con un uso limitato della tecnologia e un ritorno all’iconografia del passato. Con un budget molto più ridotto rispetto a Londra (12 volte meno) e Pechino (20 volte meno), il direttore creativo Fernando Meirelles ha fatto la sua degnissima figura puntando sull’anima del Brasile, il canto e il ballo. Dal duetto degli intramontabili Caetano Veloso e Gilberto Gil alla pista presa d’assalto dalle scuole di Samba di Rio, dal ritmo ipnotico della “Garrota di Ipanema” all’inno carioca cantato da tutto il Maracanà l’organizzazione è andata a segno senza troppi fronzoli. La tematica principale della cerimonia di apertura è stato il rispetto per l’ambiente: i cinque cerchi olimpici realizzati con delle piante, gli atleti chiamati a piantare un seme per far nascere la grande foresta, le delegazioni introdotte da un volontario in bicicletta. In mezzo, anche alcuni filmati “catastrofici” sul riscaldamento globale, con tanto di cartine e diagrammi, che molto non avevano a che fare con il clima festoso dell’evento.
LA SFILATA DELLE NAZIONALI – E’ arrivata poi la classica sfilata di tutte le 207 Nazioni partecipanti. Un momento più o meno uguale in tutte le cerimonie olimpiche, molto accorciato rispetto alle edizioni passate e un’occasione curiosa per fare un ripasso di geografia globale. E’ bello scoprire, ogni quattro anni, che Arubanon è soltanto un’azienda informatica, ma anche una minuscola isola caraibica a Nord del Venezuela. Che Timor Est, Tuvalu e Nauru potrebbero essere dei bei luoghi di villeggiatura, magari un giorno. Che Slovenia e Slovacchia sfilano prima di Germania e Francia perchè, in lingua portoghese, la Eslovenia e laEslovaquia le precedono nell’ordine alfabetico. E che gli Atleti Olimpici Rifugiati vincono di gran lunga la sfida all’applausometro per il pubblico brasiliano. Il momento più atteso, per i nottambuli italici come me, è la sfilata della delegazione azzurra guidata dalla portabandiera Federica Pellegrini. Come da tradizione i nostri sono tra i meno impostati, i più chiassosi, ma anche i più eleganti nel loro completo firmato Giorgio Armani. E i più kitsch chi sono? Con il massimo e dovuto rispetto per tutti quei paesi africani e asiatici che si presentavano con gli abiti tipici, la gara dei peggio vestiti va a mio parere alla Gran Bretagna, con una giacca blu accompagnata da degli inguardabili pantaloncini bianchi e scarpe rosse, pure troppo anche per un imbarazzato Andy Murray portabandiera! Con una citazione speciale per il capofila tongano Nikolas Aufatofua, il quale avrà sì un fisico bestiale, ma nudo e oliato come sulla spiaggia di Jesolo appariva già pronto per un’abbronzatura intensiva a Copacabana.
L’EMOZIONE FINALE – La cerimonia di apertura giunge verso la conclusione con i classici riti finali: i discorsi del presidente del CIO Thomas Bach, del presidente del comitato organizzatore Carlos Nuzman e del già citato e fischiatissimo Temer, il trasporto della bandiera olimpica e l’accensione della fiaccola. Inutile dirlo, il mio tifo come ultimo tedoforo era tutto per Gustavo Kuerten, uno dei pochissimi idoli sportivi della mia giovinezza. Quando vedo Guga fuori dallo stadio, bellissimo e sorridente come se non fosse passato un attimo dall’ultimo trionfo al Roland Garros e lo prefiguro con la sua shirt a strisce gialle e blu, un brivido percorre la mia schiena ma capisco che, purtroppo, non sarà lui il designato. La sorpresa arriva a fine cerimonia: ad accendere la fiamma olimpica è colui che non ti aspetti, Vanderlei de Lima, il maratoneta brasiliano in testa nella maratona di Atene 2004 quando fu buttato fuori pista da uno scalmanato, consegnando la vittoria e l’oro all’italiano Stefano Baldini. Emozionatissimo, Vanderlei accende uno spettacolare braciere, piccolo ma riflettuto da una magnifica composizione di specchi, il più bello che io ricordi, per la prima volta posto al di fuori dello Stadio Olimpico. La scelta a sorpresa del maratoneta beffato dal destino è la più bella e simbolica: il suo sogno portato via dal fato otto anni fa (anche se, ad onor di cronaca, l’oro l’avrebbe perso lo stesso) gli è stato restituito. E’ un po’ quello che vorrebbe per sè il popolo brasiliano, deluso e sacrificato. Che i trentunesimi giochi olimpici, sotto gli occhi del Cristo Redentore illuminato di giallo e verde, abbiano inizio!

Alessio Laganà

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